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Sull’onere della prova della corretta funzionalità dell’etilometro: a distanza di qualche mese due risposte (in apparenza?) opposte della Cassazione

Pubblicato in Blog

È all’evidenza fondamentale - nei processi in cui l’accertamento dello stato di ebbrezza riveste un ruolo centrale - l’individuazione della parte sulla quale gravi l’onere di dimostrare che lo strumento fondamentale ai fini dell’accertamento medesimo, l’etilometro, possieda i requisiti essenziali per fornire risposte attendibili, secondo i parametri indicati dal legislatore: spetta all’accusa o spetta alla difesa?
Da tale individuazione deriva infatti la decisione che il giudice deve assumere quando detta prova non sia agli atti (ed i valori espressi dall’etilometro siano superiori ai limiti di legge per la rilevanza penale): assoluzione o condanna?

La pubblica accusa è tenuta a dimostrare il regolare funzionamento dell'etilometro

Spetta alla pubblica accusa dimostrare la corretta omologazione dell’etilometro e la sua sottoposizione alle verifiche periodiche: questo è il principio che si evince dalla sentenza n. 38618 della Sezione IV Penale della Corte di Cassazione del 6/6/19 (depositata il 19/9/19).
Questa pronuncia si rivela dunque dirompente rispetto al precedente orientamento, quando afferma che: “in tema di guida in stato di ebbrezza, allorquando l'alcoltest risulti positivo, costituisce onere della pubblica accusa fornire la prova del regolare funzionamento dell'etilometro, della sua omologazione e della sua sottoposizione a revisione”.
È dunque onere dell’accusa documentare che lo strumento utilizzato per l’accertamento dal quale è scaturito un dato indicativo di uno stato di ebbrezza sia stato correttamente omologato prima di essere messo in funzione e sia poi stato sottoposto alle periodiche verifiche richieste; ove non sia possibile fornire tale dimostrazione il giudice non potrà utilizzare i dati forniti dallo strumento per la propria decisione.
Con tale sentenza la Cassazione ha recepito i principi a suo tempo sanciti dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 113 del 29 aprile 2015) in merito alle verifiche periodiche di funzionalità e di taratura degli apparecchi elettronici, quali etilometri ed autovelox, definite operazioni “indispensabili”.
Per dimostrare il corretto funzionamento dell'etilometro e di conseguenza la regolarità degli accertamenti etilometrici effettuati, pertanto, non sarà sufficiente dichiarare che l'apparecchio è stato correttamente revisionato, ma sarà necessario documentare l'effettivo espletamento di tutte le necessarie verifiche, primitive e periodiche, previste dal D.P.R. 16 dicembre 1992 n. 495, esibendo le relative certificazioni.
Solo qualora agli atti del processo sia presente tale documentazione l’imputato dovrà, per evitare la condanna, dimostrare che, nonostante il compimento delle richieste verifiche, lo strumento non ha funzionato correttamente o ha comunque fornito dati errati.
Non hanno quindi rispettato tale impostazione le non poche sentenze precedenti in cui era stato affermato che: “In tema di guida in stato di ebbrezza, allorquando l'alcooltest risulti positivo costituisce onere della difesa dell'imputato fornire una prova contraria a detto accertamento quale, ad esempio, la sussistenza di vizi dello strumento utilizzato, oppure l'utilizzo di una errata metodologia nell'esecuzione dell'aspirazione, non limitandosi a richiedere il deposito della documentazione attestante la regolarità dell'etilometro" (tra le altre, Cass. Penale, sentenza n. 42084 del 2011, sentenza n. 17463 del 2011).

L’imputato deve comunque contestare la validità dell’accertamento etilometrico

All’onere della prova in capo alla pubblica accusa circa l’omologazione ed il corretto funzionamento dell’etilometro fa riscontro un onere di allegazione da parte dell’imputato avente ad oggetto la contestazione del corretto funzionamento dello strumento: questa è la precisazione uscita dalla medesima Quarta Sezione della Suprema Corte tramite la sentenza n. 3201 del 12 dicembre 2019 (depositata il 27/1/2020).
Anche secondo tale pronuncia rimane fermo l’onere probatorio in capo all’accusa, seppur con la precisazione che: “il fatto che siano prescritte l’omologazione e la periodica verifica dell’etilometro non significa che, a sostegno dell’imputazione, l’accusa debba immediatamente corredare i risultati della rilevazione etilometrica con i dati relativi all’esecuzione di tali operazioni”.
La verifica processuale in merito al rispetto delle prescrizioni dettate dall’art. 379 Reg. Esec. C.d.s. dev’essere cioè sollecitata dall’imputato, al quale la Corte con la predetta pronuncia attribuisce l’“onere di allegazione volto a contestare la validità dell’accertamento eseguito nei suoi confronti”.
L’onere probatorio tra l’accusa e la difesa - secondo questa seconda pronuncia - risulta quindi così distribuito: spetta dapprima alla difesa, a fronte di un risultato che evidenzia un’alcolemia superiore ai limiti di legge, mettere in dubbio il corretto funzionamento dello strumento tramite un’apposita eccezione; a questo punto la palla passa al pubblico ministero, che diviene tenuto a dimostrare che lo strumento utilizzato è stato sottoposto ai previsti controlli, revisioni, verifiche; ove non lo faccia, la prova del tasso alcolemico non potrà essere fornita utilizzando le risultanze dell’esame compiuto tramite lo strumento medesimo.
Nel caso di cui si è occupata la Suprema Corte nella seconda sentenza, lo stato di ebbrezza è stato ritenuto provato grazie a quanto emerso dall’etilometro, nonostante non fossero agli atti i documenti che dimostravano l’avvenuto compimento degli adempimenti prescritti dalla disciplina sull’uso di tali strumenti, in quanto l’imputato aveva richiesto ed ottenuto il rito abbreviato, quindi un giudizio allo stato degli atti, senza nulla eccepire in merito a carenze tali da inficiare le risultanze dell’accertamento compiuto tramite l’apparecchio in questione.
Detto ragionamento solleva comunque delle perplessità; si ritiene infatti che la scelta del rito abbreviato non possa comportare un alleggerimento dell’onere probatorio gravante sull’accusa, né che possa incidere sui criteri di valutazione delle prove da parte del giudice.
In ogni caso la seconda pronuncia non si pone in contrasto con la prima per quanto concerne il suo contenuto essenziale, che viene al contrario confermato.

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